Giulietta beve il veleno - William Shakespeare - leggoerifletto

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Giulietta beve il veleno - William Shakespeare



Frate Lorenzo ha dato a Giulietta una fiala contenente un potente sonnifero, che procura un sonno simile alla morte per quarantadueore ore. Nella seconda scena Giulietta torna a casa e trova papà Capuleto, Monna Capuleti e la nutrice impegnati della preparazione del matrimonio, il menù del pranzo, le stoviglie più belle, la casa, gli inviti........ Giulietta chiede perdono e tutti si riappacificano. Nella Scena terza le tre donne sono nella stanza di Giulietta  impegnate nell'ultimo preparativo: la preparazione dell'abito più adatto alla cerimonia.
Giulietta dice di essere stanca e chiede di poter andare a letto e di dormire da sola, senza la nutrice. Monna Capuleti acconsente. Si salutano.

(Escono Monna Capuleti e la Nutrice)
Giulietta parla tra sè:

Addio!... Dio sa quando ci rivedremo...
Sento scorrermi per le vene un tremito
di paura, non so, che mi dà il senso
di raggelarmi il calor della vita...
Le richiamo, per sollevarmi un po'...
Nutrice!... Già, ma che farebbe, qui?
Per recitar la mia macabra scena
devo agire da sola... Vieni, o fiala!...

E se per caso, poi, questa mistura
non dovesse produrmi alcun effetto?...
Dovrò sposarmi domattina?... No!
Ci sarà sempre questo ad impedirlo!

(Prende un pugnale e se lo pone accanto)


Tu resta qui... E se fosse un veleno
che il frate m'ha somministrato apposta,
astutamente, per farmi morire,
e non sentirsi lui disonorato
per queste nozze, essendo stato lui
a maritarmi prima con Romeo?
Ho paura che sia proprio così...
Eppure, no, a pensarci, non può essere...
s'è dimostrato sempre un tal sant'uomo...

Ma che succederà, Vergine Santa,
se, messami a giacer nella mia tomba,
mi dovesse accadere di svegliarmi
avanti che Romeo venga a salvarmi?...
Ah, che dubbio terribile è mai questo!
Non potrò rimanere soffocata
in quella tetra sotterranea volta,
attraverso la cui fetida bocca
non entra un filo d'aria salutare,
e, prima ancor che giunga il mio Romeo,
là morire asfissiata?... E se sto viva,
non può darsi che la notturna tenebra
e l'orrido pensiero della morte
e il terrore del luogo - quella cripta
antico sotterraneo ricettacolo
dove l'ossa di tutti gli avi miei
per secoli si sono ammonticchiate;
dove Tebaldo, ancora sanguinante,
che poc'anzi era verde sulla terra,
s'imputridisce già nel suo sudario...
e dove a una cert'ora della notte,
come dicono, appaiono gli spiriti...

Ohi! ohi!... se mi svegliassi innanzi tempo,
che potrebbe succedere di me,
in mezzo a quel nauseabondo lezzo
ed a stridii che paion di mandragole
quando sono divelte dalla terra,
e che fanno impazzire chi li ascolta?...

Oh, Dio, se mi svegliassi in quel momento,
circondata da tutti quegli orrori,
non rischierei d'uscire fuor di senno,
da mettermi a giocare, come pazza,
con l'ossa dei miei avi?...
Ed a strappar dal suo lenzuolo funebre
il martoriato corpo di Tebaldo?
E in questo eccesso di pazzia furiosa
brandire un osso di qualche antenato,
e con quell'osso, a guisa d'una clava,
farmi schizzar le spente mie cervella?
Oh, ecco, ecco, ch'io vedo lo spettro
di mio cugino che insegue Romeo
che l'ha infilzato... No, ferma, Tebaldo!
Eccomi a te, Romeo. Lo bevo a te.

(Ingerisce il contenuto della fiala e cade riversa sul letto)


(William Shakespeare)


 
 
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